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MARIO DI BIRINCI

01-07-2023 07:30 - News Generiche
Si sentiva in lontananza il lieve scoppiettio dell'Ape. Era quello il segnale, che ci richiamava a una dolce e fresca merenda.
E, nel silenzio assolato, in cui solo le cicale facevano da padrone, Mario di Birinci urlava: “Ggg…ggg…gelati”.
Si materializzava ai nostri occhi il gelataio Mario, vestito di bianco, minuto, alto circa 1,60 con un ampio grembiule, fornito di una grossa tasca centrale, dove metteva i soldi della vendita.
Mario balbettava così vistosamente che non riusciva neppure a dire il suo cognome nel modo giusto.
Di cognome faceva Traballesi. Per dirlo, quasi si accartocciava e, con il volto contratto e la bocca aperta, scuoteva la testa qua e là.
Le prime due sillabe non uscivano correttamente.
E così, come a prendere aria e, la successiva “rincorsa”, tra sputacchi e sospiri, usciva fuori tutto d'un fiato, un liberatorio: Taaaraballesi.
Per noi, però, quello che contava era il gelato e, quello di Mario, era davvero buono. Si fermava, cercava una zona all'ombra, spengeva l'Ape e scendeva.
Sul dietro c'erano dei grossi contenitori, i gusti erano tre o quattro. “Ccco…oommee” e, le parole diventavano versi senza senso, si spengevano prima di veder la luce, apriva e chiudeva la bocca come un pesce e, smarrito, si guardava intorno, mentre tutto rimaneva pensiero, intrappolato chissà dove, e non c'era verso di farlo uscire.
Noi, impazienti si sceglievano i gusti, poco importava che Mario balbettasse.
Allora, quasi rinfrancato dalla nostra allegria, ritrovava sicurezza, alzava i coperchi e, con la paletta, spalmava il gelato sui coni, posizionati in fila, vicino ai contenitori.
Li richiudeva, poi, frettoloso mentre noi contavamo le monete, un gelato 30 lire.
La partenza di solito era accompagnata dalle nostre corse intorno all'Ape, che spesso, faticava a mettersi in moto.
Un allegro girotondo, battiti di mani e piedi, quasi a spingerla, un gioco di voci dai toni un po' accesi, che finivano con innervosire Mario, già agitato e confuso di suo. Capitava che, nella rincorsa, si riuscisse a prendere uno o due coni, da gustare con calma, al riparo dal sole cocente.
E finalmente, fra una scossa e un'altra, l'Ape biancazzurra svoltava l'angolo e noi, finito il gelato, ci sciacquavamo le mani alla cannella di questo o di quel giardino.
Riprendevano i giochi, il dolce far niente, aspettando l'imbrunire e, poi, la notte.
Aspettando i grilli e le lucciole, da mettere sotto il bicchiere. Una mano amica le avrebbe liberate, lasciando al loro posto una o due monete, preziose per il prossimo gelato di Mario di Birinci.

Patrizia Bianconi

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