LE VACANZE A SAMPIERDARENA (di Tiberio Taverni)

Lo zio si era trasferito nel quartiere genovese dopo esser convolato a giuste nozze con la signorina Rosetta, lasciando Cigoli e portandosi dietro tutto l'occorrente per continuare la' la sua attività di ciabattino.

Trascorrevo le mie giornate nella bottega giocando con le macchinine e sbirciando curioso i numerosi clienti che la frequentavano.

Portavano scarpe sfondate, tacchi consumati, sandali e ciabatte.

Zio Ottorino con abilità tagliava il cuoio, spedito da Ponte a Egola, lo cuciva, lo incollava con il mastice e lucidava.

Tutto riparava e tornava nuovo.

A fine lavoro si toglieva il grembiule nero e dopo cena manteneva la promessa: si andava al molo a giocare a bocce.

C'era, infatti, un bocciodromo dove esperti giocatori disputavano a coppie vere e proprie gare.

Zio era un "accostatore", avvicinava la boccia al pallino, l'altro invece era il "bocciatore", che l'allontanava quando era troppo vicina.

Era un gioco di abilità, di equilibrio e di concentrazione.

Intorno il silenzio, mentre dal mare arrivavano suoni e odori e il buio della notte avvolgeva l'aria di sale, di pesce, di fumo e di nafta.

Finita la partita, zio metteva a posto le sue bocce di ottone, erano traforate ma pesanti, le aveva personalizzate, incidendovi le iniziali.

Ci incamminavamo verso casa prendendoci per mano.

Mi piacevano le strade strette con i panni tesi, come bizzarri arcobaleni a ravvivare il grigio delle case così alte da toccare il cielo.

Mi piacevano la spiaggia affollata, i bagni e i tuffi.

Troppo presto arrivava il momento di tornare a Cigoli.

Zia Rosetta, prima di partire, mi regalava alcuni vasetti di pesto, una sua specialità.

Durante l'inverno, quando mamma preparava la pasta, dopo la prima forchettata, chiudevo gli occhi e per un momento ritornava agosto.